Da qualche giorno Pilush se n’è andato a 500 km da casa per un importantissimo lavoro improrogabile pre-vacanze, molti colleghi dell’Azienda Ridens sono partiti per ferie anticipate, viaggi intercontinentali, varie ed eventuali e Lavorandia, in generale, si è progressivamente svuotata rimanendo terra di un’unica categoria di persone: gli stagisti sfigati che non vedranno il mare prima di metà agosto.
Tra le prime linee di questa categoria di persone figuriamo, ovviamente, io e il povero Puad che, stoici, teniamo duro seduti alla nostra scrivania, incuranti dell’afa, della stanchezza e delle foto social di gente che sorseggia drink, su isole lontane.
L’essere rimasti soli in città comporta, per me e Puad, conseguenze diverse, derivanti da nostre diverse caratteristiche psico-fisiche. A me, per esempio – donna incinta, pigra e complicata – questa solitudine forzata regala momenti di estrema gioia dati dalla prospettiva di poter andare a dormire alle 21 o mangiarmi da sola tutti i gelati del congelatore, alternati a momenti di totale noia, accidia, ansia, dati da un pessimismo cosmico persistente e dal fatto di essere costretta a muovermi a piedi, vista la mancanza di un’auto e il divieto assoluto di salire su biciclette, motorini e qualsiasi altro mezzo di locomozione autonomo e vagamente pericoloso.
A Puad, invece, la condizione da scapolo allegro mentre la fidanzata è in vacanza regala esclusivamente libertà, spensieratezza, svago e un unico e solo risvolto negativo: scatolette e surgelati ogni giorno, grazie alla sua nota incapacità in cucina.
Oggi poi – 31 luglio, 35 gradi all’ombra – si prospettava come il peggiore dei miei ultimi giorni a Lavorandia. Avrei infatti dovuto attraversare tutta la città in autobus, in pausa pranzo, per andare a ritirare alcuni risultati delle infinite analisi che mi sono state prescritte nell’ultimo mese e riattraversare tutta Lavorandia a ritroso, per rientrare in tempi utili in ufficio. Un incubo, insomma.
Incubo di cui avevo preso a lamentarmi ieri pomeriggio in ufficio, sperando così di abituarmi all’idea e, in qualche modo, di esorcizzarlo. Finché Puad, il pigro Puad, sentendomi mugugnare non se n’è uscito con un del tutto inaspettato “sai Doduck, io ho la macchina…”
“Davvero Puad? Va beh, ma figurati se…”
“Ma sì…”
“Ma no, dai, non potrei mai…”
“Cosa vuoi che sia…”
“Puad, ma io conosco la tua innata voglia di far niente, e mi rendo conto che fuori fa davvero molto caldo, e che abbiamo un’unica pausa pranzo durante la giornata che, in questo modo, andrebbe del tutto sacrificata…”
“Nessun problema, Doduck. Posso accompagnarti io, sul serio!”
“Ma ne sei davvero sicuro, Puad? Insomma, non è da te…”
“Sicuro.”
“E se poi te ne penti?”
“Sono sicuro, ti dico.”
“Oddio, grazie. Sarebbe bellissimo! Come potrò mai sdebitarmi?!”
“Beh, a dirla tutta, una cosa potresti farla…”
“Ah. E cosa?”
“Sai, ho finito anche l’ultima scatoletta di tonno. “
“Ah. Eh?”
“Direi di fare così: io ti accompagno e tu mi offri il pranzo.”
Quando si dice altruismo 😂
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Puro e genuino… 😀
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Assoluto direi 😁
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😀 😀 😀
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😀 giuro, ti stavo per proporre di unire in qualche modo le vostre diverse solitudini in una maniera simile a come si è conclusa la vicenda! …però mi sembra un po’ caro offrire un pasto per sdebitarsi di un passaggio… cmq credo si accontenti anche di un pasto nel portapranzo, che tanto per lui deve essere tutta nouvelle cuisine d’alta scuola… 😉
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Ahah! Credimi, per il caldo di questi giorni, un passaggio in macchina val bene un pranzo! 😀
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mi pare un equo scambio. Viaggio in macchina vs pranzo. Cosa vuoi di più.
Solo 35° ieri? Bazzecole rispetto ai 42°
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😉
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Mi sa che sei una bella ragazza Doduck!!
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Tutte queste piume mi donano!
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L’ha ribloggato su Alessandria today.
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