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Cinquantaduesimo giorno di prigionia.

Le tre simpatiche maestre sorridenti del nido le stanno provando davvero tutte, in questa quarantena.

In un primissimo momento sono scomparse. Via. Basta. Sparite dai radar.

E – se proprio ve lo devo dire – non è che Ciotti ne paresse soffrire troppo. Lei, grande nemica del nido e di tutti gli educatori, di quei poppanti che le vomitavano addosso casualmente o la riempivano quotidianamente di bava e starnuti gratuiti, lei proprio non avrebbe potuto chiedere altro di meglio al 2020 che una pandemia mondiale che chiudesse definitivamente ogni scuola di ordine e grado e facesse scomparire quei mocciolosi folletti e quelle perfide aguzzine.

Il gruppo Whatsapp delle mamme del nido però, di quella sparizione, pareva soffrirne davvero tanto. Non che io comprendessi a pieno – forse proprio perché mamma di Ciotti – tutta quella apprensione. Ma loro, loro, da mamme modello, sostenevano che i rispettivi pupi fossero davvero scossi da un distacco così improvviso da quelle figure tanto importanti e di riferimento e che dunque, tali figure, dovessero ricomparire nella vita di tutti noi il prima possibile, da dietro a uno schermo, a una mascherina, o in qualsiasi altro modo!

Le tre simpatiche maestre sorridenti hanno allora iniziato a inviare alla rappresentante dei genitori alcune registrazioni audio delle proprie voci che, con toni cretini, leggevano filastrocche di dubbio gusto.

Figurarsi l’ovazione delle mamme di Whatsapp che, incredule, sono in un primo momento esplose festaiole con cuoricini ed emoticon a trombetta per poi però realizzare presto che i loro poppanti, di quelle voci irriconoscibili, non se ne facevano poi tanto.

Di fronte a un nuovo rimprovero da parte della rappresentante dei genitori, le tre maestre simpatiche e sorridenti si sono allora giustificate dicendo che la latitanza era dovuta allo stare duramente lavorando per produrre regalini e sorprese per i nostri bimbetti, cadeaux che non hanno, purtroppo, tardato ad inviarci, sempre tramite il numero Whatsapp della rappresentante.

Una favola letta ad alta voce mentre scorrevano sul display disegni di dubbio gusto, una canzoncina un po’ stonata, un video di alcune mani che componevano impossibili origami, un dialogo fra burattini impacciati, insomma, nulla che soddisfacesse in minima parte quelle esigenti genitrici da tastiera che, dopo l’ennesimo di questi goffi tentativi di vicinanza, hanno tuonato che fosse ormai giunto il momento di palesarsi, mannaggia, per queste insensibili maestre!

Che la smettessero di sottrarsi alle proprie responsabilità, e di usare la rappresentante come intermediaria, e mostrassero piuttosto finalmente le proprie facce, e si mettessero in prima persona a intrattenere questi ormai inintrattenibili moccolosi in quarantena.

Da questo ricatto è nato, evidentemente, quel primo giro di videochiamate-interrogatorio rivolto a ciascuna famiglia, che aveva toccato pure noi qualche giorno fa e che ci aveva lasciati, inermi, di fronte a una doppia dura verità: di essere anche noi in balia di una moccolosa furbetta ed esigente. E che a quella moccolosetta, anche vedendole in faccia, di quelle sue educatrici non interessasse proprio nulla.
Insomma, un disastro.

Ma le genialate delle mamme sui gruppi Whatsapp, si sa, non hanno limiti. Ed eccole dunque, quelle mammissime – appena conclusosi il giro di videochiamate-interrogatorio – a proporre, prese dall’entusiasmo, di cominciarne subito un altro. Idea sulla quale, stavolta, le maestre avevano subito rilanciato proponendo che fosse stavolta un giro di video-merende in cui le famiglie potessero partecipare non singolarmente ma a gruppi. ‘Ché certo, ciascun bimbetto aveva finalmente potuto rivedere le maestre ma vuoi mica privarli della gioia di rivedersi fra loro (bimbetti di un anno, alti due mele o poco più, che a malapena riconoscono la propria madre, ndr.)?

E così oggi, mentre io ero alla quinta ora consecutiva di videochiamata di lavoro e mentre Ciotti si stava godendo un meritatissimo bagnetto con tanto di paperelle e schiuma, sotto l’attenta supervisione di Pilush, ci siamo improvvisamente ricordati fosse questo il pomeriggio preannunciato per la mega merenda online fra poppanti. Ci siamo dunque precipitati in quella stanza virtuale, un po’ scossi e un po’ insaponati, con una maglietta infilata a metà, una paperella gocciolante in mano e un occhio all’agenda dell’ufficio.

Vi abbiamo trovato dentro il delirio.

In ciascuna casellina di quella artistica composizione di immagini da webcam si poteva intravedere l’affanno, la fretta e la follia mista a esaurimento di ciascuna di quelle famiglie. C’erano bimbi che ridevano, altri che urlavano, mamme che allattavano, papà che canticchiavano, fratellini e sorelline più piccoli e più grandi che si facevano dispetti, alcuni che volevano la pappa, altri pronti per la nanna, chi correva, chi sbatteva coperchi, chi cadeva per terra, chi si rotolava. Un fracasso pazzesco a cui Ciotti, dal canto suo, non poteva certo esimersi dal partecipare, facendoci rientrare a pieno in quell’insieme di genitori sfiniti e un po’ impacciati che attivavano e disattivavano il microfono freneticamente, cercando di darsi un tono davanti al pc.

E poi, ovviamente, fra tutte quelle facce c’erano anche loro: le tre simpatiche maestre, a mio parere oggi più sorridenti che mai.

Come a volerci dire di non sfidarle, cari genitori. ‘Chè c’è solo una cosa che batte, per perfidia, le genialate dei genitori dei gruppi Whatsapp, e sono le trovate delle imprevedibili maestre dei nidi.

 

Peanuts - pt200414.tif

 

 

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Cinquantunesimo giorno di prigionia.

“Buongiorno cara cliente, come sta?”

“Buongiorno cara Doduck, non c’è male, dai, e tu?”

“Anche io non mi lamento, certo la situazione è quella che è…”

“Eggià…”

“Ma all’Azienda Ridens andiamo avanti con il lavoro.”

“Eh sì, beati voi. Noi che ci occupiamo di turismo, in questo periodo, invece, siamo proprio fermi.”

“Lo immagino, vi chiamavo anche per questo.”

“Ah sì?”

“Beh, sì, in questo periodo difficile volevamo farvi sapere che l’Azienda Ridens c’è, vive e soffre insieme a voi, e se può esservi d’aiuto, beh, ecco…”

“Oh, grazie, cara Doduck, ma ti dirò…”

“Si?”

“A dire il vero non ce la passiamo così male.

“Come no? Le attività non sono chiuse?”

“Sì, sì, ma qui siamo persone tendenzialmente ricche. Abbiamo tutti da parte un bel gruzzoletto, non sono certo questi pochi mesi di stop a preoccuparci.”

“Ah, beh, in tal caso…”

E poi ho sentito che a Lavorandia piove.

“Ehm, sì, in questi giorni sì.”

“Qui invece abbiamo un bel sole.”

“Ah. Buon per voi!”

“Inoltre abbiamo un sacco di verde, aria buona e il mare. Soprattutto il mare!”

“Oh, il mare…”

“Eh sì, il rumore del mare e il profumo di salsedine che si sente anche da casa. E voi, a Lavorandia, come fate senza mare?”

“Eh, guardi,… così…”

“Poi abbiamo un’ottima cucina a tenerci compagnia, la più buona del mondo.”

“Uhm.”

“E suoni, e colori, e la quiete, sì insomma – da addetta turistica non dovrei dirlo, forse – ma la quiete di questi giorni è impagabile, e senza lock-down a quest’ora saremmo invasi dal frastuono.”

“Lo immagino.”

“Insomma, Doduck, grazie del tentativo ma al momento il supporto dell’Azienda Ridens non ci serve.”

“Oh, beh, capisco…”

“Anzi, mi spiace un po’ per voi…

“Per noi?”

“Beh, sì. Ho avuto modo di riflettere tanto nell’ultimo periodo e ho capito di trovarmi nella parte giusta del mondo.”

“Per il mare.”

“Per il mare! E per tutto il resto. Insomma, mi sono più volte detta che, anche potendo scegliere, in caso di un’ulteriore necessità di quarantena mondiale vorrei trovarmi proprio qui. Ed è una bella consapevolezza, credimi.”

“Oh, lo credo bene.”

“Dico davvero! Non vorrei mai e poi mai trovarmi, per esempio, a Lavorandia.”

 

 

Charlie Brown, sighing, with the word 'sigh' surrounded by what ...

 

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Cinquantesimo giorno di prigionia.

E così sono cinquanta
e siamo ancora in quarantena
ci avevan chiesto pazienza, non sapevamo quanta
ora sembra passato un secolo da quando ci hanno stretto in catena.

Son stati giorni di decisioni importanti e vari decreti,
discorsi, conferenze stampa e autocertificazioni,
discussioni, opinioni, pareri, divieti,
dati da gente assennata, o da alcuni c***oni.

Conte, in questi giorni, più volte, si è pronunciato,
guardandoci negli occhi, con la voce nasale
non mollate proprio ora, si è da sempre raccomandato
sarebbe davvero un grande suicidio generale.

Poi, però, non si sa proprio il come o il perché
da qualche giorno ha deciso fosse ormai giunto il punto
di allentare la morsa, di concederci di uscire per un tè,
con un nonno, uno zio, un cugino o un congiunto.

Ha così annunciato che anche i parchi riapriranno,
oltre a fabbriche, aziende, estetisti e parrucchieri,
negozi, ristoranti, botteghe e con affanno,
anche studi legali, take away, musei e cantieri.

E la gente, incosciente, ha pure iniziato a dire
che certo, si poteva fare di meglio, con questa seconda fase.
Che non è abbastanza, e così non sembra neanche di ripartire.
Che proprio non se ne può più di stare dentro alle case.

Ma Conte ha ribadito di non voler essere frainteso,
chè, va bene, qualcuno deve pur tornare a lavorare
ma che bisogna fare ancora più attenzione e dare molto peso
a distanze, igiene e dispositivi di protezione personale.

Ha poi dichiarato, con decisione e ferma mano
che non è ancora giunto il momento in cui pensare
che tutto quanto sia ormai un passato remoto e lontano,
un sogno, bruttissimo, da poter in fretta dimenticare.

Non esclude, infatti, l’esimio Presidente
che possa esserci una ricaduta tutt’altro che piacevole,
se si lascerà fare ciò che vuole a tutta la gente
gite, pic nic, o altro gesto deplorevole.

E allora io, Doduck, che sono una semplice stagista,
ho pensato di scrivervi questa bruttina e stonata canzone
per dirvi che, davvero, e non per esser disfattista
non mi sembra il caso di insistere a mettere in pericolo l’intera nazione.

Ne sono passati cinquanta di giorni, è un bel traguardo
stringiamo la cinghia e rimaniamo ancora un po’ dentro
uscire ora sarebbe proprio un azzardo
un assist per permettere al virus di fare centro.

In fondo, sapete, queste cose come vanno
i primi giorni sono duri ma poi ci si prende la mano
come quando ci si mette a dieta, tutti pensano che non ce la fanno
ma il peggio è solo cominciare, ormai lo sa anche il più profano.

Ormai che le videochiamate non hanno più segreti,
e che sappiamo fare a occhi chiusi pizza e pane,
non facciamoci prendere dalla fretta, stiamo quieti
restiamo ancora un po’ nelle nostre tane.

Magari ne passeranno ottanta di giorni, o forse cento,
e si susseguiranno ancora decreti, conferenze e autocertificazioni
usciremo però, quando il mondo non farà più spavento,
per ricominciare a vivere sereni, abbracciati e senza restrizioni!

I PEANUTS ARRIVANO AL CINEMA: 'SOGNA IN GRANDE' NELLE SALE DAL 5 ...

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Quarantanovesimo giorno di prigionia.

Lunedì. La nuova settimana si è aperta con un’agenda ricca di videochiamate già fissate, presentazioni da ultimare e questioni lavorative da risolvere. Il tutto, da sommare al clima di incertezza nazionale lasciato dalle ultime decisioni del governo in merito alla Fase 2.

Insomma, un disastro.

Conscia che, viste le premesse, le possibilità di sopravvivenza generali (al virus, alle colleghe, all’accidia, alla vita) tendessero improvvisamente allo zero, stamattina ho deciso di sedermi a lavorare in giardino. ‘Chè se dobbiamo morire tutti, meglio farlo all’aria aperta.

Mi sono dunque allestita un bell’angolino: ho recuperato le poltroncine di plastica verde dal garage e attaccato le gambe al tavolino in coordinato. Ho trovato un vecchio ombrellone che ho sistemato al centro del tavolo, con la giusta inclinazione terra-cielo. Mi sono assicurata di avere una bottiglia d’acqua e una di succo di frutta tanto da garantirmi un approvvigionamento di liquidi adatto a coprire le successive mille ore di lavoro. Ho anche preso qualche biscotto dalla dispensa, così, come dispositivo di protezione individuale in emergenza.

Ho raggruppato pc portatile, agenda, calendario, cellulare, cuffie e trasformato quel tavolo verde da giardino in scrivania. Poi ho preso un cuscino per quella sedia che mi pareva effettivamente un po’ scomoda per fingersi poltrona da ufficio. In seguito ho recuperato anche il caricabatterie del pc, dimenticato in casa durante l’allestimento iniziale. Ho allora provato a collegare il pc alla presa di corrente posizionata sulla parete più vicina alla mia postazione ma mancava l’adattatore. Ho dunque cercato un adattatore nei ventimila cassetti del soggiorno della casa e dopo averne finalmente trovato uno che avesse la giusta dimensione e non sembrasse rotto, ho provato ad attaccare il cavo risultato però troppo corto. Così ho preso a spostare l’intera postazione, più volte, cercando di individuare la posizione adatta che consentisse di attaccare il pc alla corrente senza estendere troppo il cavo, ma anche di non finire contro luce e accecata, senza più possibilità di leggere nulla sullo schermo, ma anche di non rimanere in ombra e al freddo, ma anche di essere alla giusta distanza dall’ingresso in casa e dal bagno, ma anche nella giusta angolazione per buttare un occhio, all’occorrenza, all’altalena su cui avrebbe giocato Ciotti nelle ore pomeridiane.

Dopo lunghe modifiche e aggiustamenti, ho infine iniziato questa settimana e giornata lavorativa soddisfatta nella mia comoda postazione soleggiata che tutti mi hanno, effettivamente, invidiato, intravedendo alberi e nuvole alle mie spalle, in webcam. Ho staccato solo per un rapido pranzo e poi sono tornata all’opera per un lungo pomeriggio di incontri e appuntamenti virtuali dal mio ufficio en plein air.

Insomma, la trovata per svoltare questa prigionia, ne converrete.

Se non fosse che stasera, dopo queste dieci/dodici ore di ragionamenti al sole, mi ritrovo in stato semicomatoso, con gote rosse, brividi di freddo e la triste consapevolezza che non si possa, davvero e in nessun modo, provare a fregare la sorte.

 

Annotazione 2020-04-27 211552

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Quarantottesimo giorno di prigionia.

Ecco, stasera, annunciata la cosiddetta Fase 2 in cui, a quanto pare, si potrà uscire, ma in realtà non si potrà uscire, si potrà ricominciare l’attività fisica in parchi e giardini ma in realtà si dovrà correre lontani e in direzioni opposte, si potranno incontrare parenti ma in realtà non ci si potrà dare buffetti sulla guancia e non si potranno organizzare pranzi e grigliate, ci si potrà muovere all’interno della regione ma solo con autocertificazione, ci si potrà spostare fuori regione ma solo con autocertificazione, si potranno riaprire le aziende, ma in realtà solo alcune, e si potrà tornare a lavoro ma in realtà solo con gli adeguati dispositivi di sicurezza, si potranno celebrare funzioni funebri ma in realtà solo con un massimo di quindici spettatori, si potrà ricominciare l’attività sportiva agonistica ma in realtà solo quella individuale, niente squadre, si potrà prendere cibo d’asporto ma senza sputare sulla pizza altrui mentre si attende in coda, poi riapriranno anche musei e chiese e ristoranti, bar, e estetisti, parrucchieri e barbieri, ma in realtà non ci si potrà andare prima di giugno e soprattutto non prima di Mattarella, e infine – con tutte queste misure di sicurezza, e attenzione, e precauzioni, e distanziamento sociale – stiamo andando bene ma in realtà sicuramente ci sarà una ricaduta.

Insomma, sembrava stesse per finire la prigionia, ma in realtà anche no.

 

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