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Cinquantaseiesimo giorno di prigionia.

Come sia andato, effettivamente, questo 4 maggio, io proprio non lo so.

Mezza Italia oggi è ripartita: ha preso treni, autobus e metropolitane, riaperto uffici e attività, invaso parchi, incontrato congiunti.

Noi no. L’Azienda Ridens infatti, un po’ perché facente parte di quelle imprese dal business non strettamente indispensabile alla sopravvivenza degli umani, un po’ perché resasi conto che – tutto sommato – in smart working si lavora quasi più che offline, dicevo, l’Azienda Ridens ha deciso che, per il momento, non sia il caso di rientrare in sede.

E se ci aggiungiamo Pilush libero professionista, e Ciotti con il nido chiuso, capirete che non abbiamo proprio alcuna fretta, attualmente, di interrompere il nostro lockdown e di lasciare la casa in campagna dei Doduck genitori.

Temo inoltre, ma magari è un pensiero solo mio, che le città come Lavorandia, da oggi ripartite quasi a pieno regime, da domani saranno nuovamente a rischio disastro.

E io le provo anche a capire le persone scese in strada ad abbracciarsi stamattina, quelle corse al parco tutte insieme, o a mettersi in coda in tangenziale. Due mesi di segregazione sono pur sempre due mesi di segregazione. Però mi sembra ci sia anche una buona dose di follia diffusa in questa fase 2, tra chi l’ha pensata, e chi non ha ancora capito quali precauzioni seguire, tra chi predica il distanziamento sociale e chi ora ritiene di poter improvvisamente darsi alla pazza gioia.

Eccitazione e follia.

Ma magari mi sbaglio.

Dal canto nostro, dicevo, ce ne rimaniamo isolati. Mantenendo i nostri ritmi frenetici fra bimba, nonno, videochiamate di lavoro e videomerende fra poppanti. Ci alziamo correndo e finiamo la giornata sfiniti senza aver concluso poi chissà cosa, in attesa di una fase 3, o 4, o 5, in cui chissà, magari potremo semplicemente fermarci un attimo e dormire.

Poi, oggi, mentre io e Pilush, presi dallo sconforto, cercavamo di incastrare appuntamenti e sincronizzare agende manco fossimo manager in carriera, la Doduck Mamma ci ha interrotto per proporci qualcosa che ci avrebbe restituito, sicuramente, una bella quantità di energia vitale.

Speravamo fosse droga.

Desiderio banale e scontato il nostro, secondo la Mamma, rispetto a quanto effettivamente aveva in mente: “usciamo ad abbracciare un albero!”, ha esclamato entusiasta, spiegandoci che la natura avrebbe ricambiato l’abbraccio con calore ed endorfine e che avremmo così svoltato la giornata, o forse la nostra intera vita, grazie all’iniziazione a questa tale dendroterapia non so ché.

Scettici l’abbiamo subito buttata sul ridere – si capisce – e la tenace genitrice, allora, forte della sua competenza in materia naturalistica, ha preso con sé la unenne nipotina Ciotti per una dimostrazione plateale della nostra malafede.

La bimbetta, figurarsi, seguirebbe quella nonna dalle idee strampalate fino in capo al mondo. E via, dunque, subito su e giù per il giardino, in coppia, a ridere e stringere tronchi.

Insomma, oggi è iniziata la fase 2, e a me il comportamento delle persone da stamattina sembra ancora più folle del solito.

Eccitazione e follia.

Ma magari mi sbaglio.

 

W la pazzia | Citazioni snoopy, Charlie brown, Citazioni fantastiche

 

 

 

 

 

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Quarantaduesimo giorno di prigionia.

“Cari dipendenti dell’Azienda Ridens, grazie per avermi raggiunto nuovamente in videochat. Vi ho convocati tutti insieme, oggi, perché ho avuto un’ideona in cui vorrei coinvolgere ciascuno di voi.”

Capo Ridens, dobbiamo preoccuparci?”

“Eddai, Doduck. Siete in quarantacinque qui, possibile che l’unica a partire sempre prevenuta sia tu?”

Ok. Dobbiamo preoccuparci.

“Dicevo,…che dicevo?”

L’ideona. Il motivo per cui siamo qui.”

“Ah. Già! Dicevo: ho ragionato a lungo, in questi giorni, su quale sarà la sorte del mondo, in generale, e dell’Azienda Ridens, nello specifico.”

“E?”

“E la verità è che ci attende un futuro incerto, una strada poco sicura, le tenebre più assolute.

“Ottimo.”

“Non si sa davvero se e come l’Italia ripartirà e credo che, in questa circostanza, a sopravvivere saranno solo quelle aziende che riusciranno ad adeguarsi rapidamente e intelligentemente al cambiamento.”

“Cosa intende dire?”

“Intendo dire che ci serve una genialata. O soccomberemo.”

“Ah, ecco.”

“E qui entrate in gioco voi.”

“Perché noi?”

“Perché mica posso fare tutto io! Che domande…”

“Ci mancherebbe.”

“Ci serve una genialata, dicevo. E voi la troverete.”

“E come dovremmo fare, scusi?”

“Qui viene il bello, Doduck! Lasciami spiegare!”

“Aiuto.”

“Si tratterà di una gara! Vi dividerò a squadre.”

“Oddio.”

“Anzi no! Sarà il Caso a definire ciascuna squadra. Puad, hai ritagliato i cartoncini con i nomi di ciascun dipendente?”

“Eccoli, capo.”

“Ottimo. Béndati pure, e procediamo all’estrazione!”

“Puad? Ma…che…? Perché sarà Puad a estrarre? Capo Ridens?”

“Perché Puad è giovane e ciocciottello. È la cosa più simile a un bimbo innocente che ho trovato in Azienda.”

“E poi? Una volta divisi in squadre, cosa succederà?”

“Ciascuna squadra si organizzerà autonomamente per incontrarsi virtualmente e mettersi a ragionare e studiare e valutare e ripensare, fin quando non tirerà fuori delle idee vincenti che io possa monetizzare risollevando così le sorti future di questa Azienda!”

“E come faremo con tutte le altre videochiamate di lavoro che riempiono già le nostre giornate?”

“Mamma mia, Doduck. Quante storie. Per questa sfida potrete usare dei tempi morti, che ne so, vedervi la sera. La notte. Tanto non c’è mica bisogno che vi rechiate in ufficio. Eh eh eh.”

“Santo Cielo.”

“Insomma, sarà una specie di brainstorming collettivo. Un’enorme riflessione condivisa da cui, mi aspetto, nasceranno grandi proposte. E alla fine ci sarà anche una votazione!”

“Di che?”

“Dell’idea migliore, che domande! Un po’ di sana competizione vi aiuterà a ragionare meglio, ne sono sicuro.”

“E qual è il premio in palio per la squadra dall’idea vincente?”

Tutta la mia gratitudine, è ovvio.”

“Mannaggia.”

“Insomma. È o non è un’ideona?”

“A me sembra sfruttamento intellettuale goffamente camuffato da team building avanguardistico, ma magari mi sbaglio.”

“Bene. Mi sembra tutto chiaro, dunque. Siete pronti a partire?”

“Ehi! Un attimo! Un’ultima domanda: come fare per tirarsi fuori?”

“Ah. Ah. Ah. Questa è buona, Doduck!”

 

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Ventunesimo giorno di prigionia.

“Pronto, Doduck? Sono sconvolta.”

“Pronto, Satti? Dimmi. Che succede?”

“Come che succede, non hai ricevuto anche tu la chiamata di Capo Ridens stamattina?”

“Ah, già. Sulla cassa integrazione. L’ho ricevuta.”

“Beh? Non dici niente?”

“Che ti devo dire Satti, un po’ c’era da aspettarselo.”

“Mi sto sentendo male.”

“Eddai, comunque non siamo già in cassa integrazione, giusto? Dice che sta valutando per il prossimo mese…”

“Sto per avere un mancamento.”

“E poi magari sarà per poco, l’emergenza Coronavirus rientrerà e l’azienda ripartirà…”

“Muoio.”

“Noi continuiamo a lavorare e aspettiamo di vedere che succede, direi.”

“Oh Doduck, il tuo spirito è ammirevole. Sei solo un’apprendista e cerchi di dare coraggio a me che sono da anni a capo dell’ufficio.”

“Eh sì, in effetti…”

“Ti ringrazio, Doduck.”

“Poi magari sono anche un po’ ingenua, eh. Ci sta. È solo che penso…”

“È solo che penso davvero tu non abbia capito bene la questione…

“….?”

Come farò ad arrivare a fine mese senza il mio stipendio stellare?

“Ah.”

“Cioè, voglio dire, come farò a mantenere il mio tenore di vita o anche solo a comprare tutti quei prodotti bio vegani esclusivi, percependo soltanto l’80% del mega stipendio che percepisco al momento?”

“Mi spiace, Satti, in effetti sono problemi.”

“E come potrò continuare a foraggiare il mio psichiatra per tre volte a settimana? Non posso vivere senza il mio psichiatra!

“Vorrei tanto poterti aiutare.”

“E che ne sarà della mia gatta? Oddio, non dovrò mica iniziare a comprarle dei banali croccantini?”

“Povera, chissà il trauma.”

“E il corso di Yoga online? E il nuovo guardaroba ordinato su Zalando? Come può lo Stato non tenere conto di chi a fatica sta cercando di mantenere attiva l’economia del Paese pur rimanendo bloccata in casa!”

“Pura irriconoscenza.”

“In fondo i miei di questi giorni sono investimenti per la Patria. Ora dovrò interrompere tutto?”

“Non so, Satti,…”

“Certo che dovrò. Come credono si possa sopravvivere con uno stipendio mensile sotto ai tremila euro?? Con una paga da pezzenti!”

“Oh, Satti. Scusa se mi intrometto. Da apprendista…

“Eh.”

“Ma io con meno della metà di quella paga da pezzenti di solito ci sopravvivo e ci mantengo pure una figlia.”

“Ah.”

“Fanculo la gatta.”

 

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Decimo giorno di prigionia.

La giornata è iniziata con tutta l’Azienda Ridens connessa in chat per un video-corso di 4 ore a tema sicurezza sul lavoro, obbligatorio per tutti i dipendenti.

È stato anche carino, all’inizio. Dico, ritrovare tutte quelle facce insieme, di buon’ora. Intravedere alle spalle di ciascuno un pezzo di casa, uno scorcio di vita.

Abbiamo cominciato facendo battute, salutandoci come chi si ritrova dopo tempo. Chiedendoci come stessimo e aspettando veramente di sentire la risposta.

Poi si è connesso lui. Il Preposto Responsabile dei Responsabili Addetti Sicurezza. Colui che avrebbe dovuto formarci, per l’appunto.

Ora – forse alcuni di voi non sono così esperti del settore – ma io di corsi sulla sicurezza me ne intendo davvero. In fondo, sono una stagista cronica. E non c’è niente che riesca meglio agli stagisti che seguire millemila corsi di questo tipo. Quello di stamattina sarà stato, credo, il triliardesimo corso sulla sicurezza frequentato durante gli ultimi anni, tra stage e apprendistato, per capirci.

Così ho iniziato serena e distrattamente a seguire le parole di quel distinto signore dall’aspetto tipico di quelli nati per fare corsi sulla sicurezza nella vita.

E seguitavo a guardare la lezione aspettando che sciorinasse una serie di decreti e norme che effettivamente il tizio ha presto sciorinato fiero, proprio da copione.

E attendevo con ansia poi il momento in cui avrebbe proposto un paio di quei video sgranati, anni 90, con la voce da spot e qualche brutto attore protagonista di una serie di gag con fintissimi infortuni sul lavoro. E i video sono effettivamente subito arrivati.

E poi aspettavo trepidante l’istante solitamente più avvincente dell’intero corso, quello in cui avrebbe preso a raccontarci di casi vissuti in prima persona e di gente ebete che aveva rischiato la vita per aver sistemato in maniera errata la fotocopiatrice accanto al quadro elettrico o che si era compromessa per il resto dei propri giorni per una non corretta postura al videoterminale. Ed effettivamente gli aneddoti sono arrivati copiosi, così come le volte in cui ha ripetuto la parola “videoterminale” che non si sa perché ma piace un sacco ai signori nati per fare corsi sulla sicurezza nella vita.

Tutto perfettamente in linea, insomma, con le altre millemigliaia di volte in cui mi ero trovata a frequentare corsi teorici per prepararmi ad affrontare degnamente pericoli in cui mai, a tutti gli effetti, mi sarei potuta imbattere nel corso di un’intera esistenza (anche se aspetto ancora fiduciosa il momento in cui potrò salvare l’umanità dal fuoco imbracciando un estintore a CO2).

Poi – quando ormai ci avviavamo alla conclusione e al temutissimo quanto scontato test finale a risposta multipla – il tizio nato per parlare di sicurezza teorica, blanda, da manuale, ha invece iniziato a parlare di Coronavirus. E di quali misure di prevenzione dovremmo utilizzare in questi giorni. E di come stia progredendo la pandemia. E di quali numeri non tornino, tra contagiati, e morti. E di come probabilmente ci vorrà ancora un po’ prima di tornare alla normalità. Un po’ tanto. E di come, tutto sommato, non c’è prevenzione che tenga: siamo tutti un po’ nella cacca. E di come gli ospedali siano in crisi, e stiano decidendo chi tenere, e curare, e chi rimandare indietro. Di quanto manchino del tutto i dispositivi di sicurezza necessari a evitare ulteriori contagi, a partire dalla totale penuria di mascherine, e di come forse, in effetti, le scuole non riapriranno prima dell’estate, e neanche gli uffici.

Una mezz’ora buona in cui ciò che raccontava, improvvisamente, non era più un’ipotesi così teorica e distante di un rischio inesistente ma l’analisi lucida e razionale della nostra quotidianità. Un corso alla sicurezza come mai seguito prima.

“A maggior ragione” – ha infine concluso inesorabile – “in questi giorni di telelavoro dovete prestare attenzione alla disposizione della vostra scrivania di casa, a una giusta luce che non vi affatichi lo sguardo, e alla postura che tenete quando siete davanti al videoterminale.

Probabilmente perché ormai ci trovavamo tutti ricurvi, occhi sgranati, davanti a quegli schermi.

 

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