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Settantesimo giorno di prigionia.

Ho passato gli ultimi settanta giorni della mia vita a scrutare il mondo tramite uno schermo. Ho intravisto colleghi e clienti dietro alle webcam durante un numero indefinito di videochiamate di lavoro.

Ho seguito i telegiornali che raccontavano il paese. Le notizie in tv sono state il costante sottofondo mentre passavo le mie ore chiusa in una stanza a inventarmi giochi da fare con Ciotti.

Ho letto articoli, visualizzato commenti e post più o meno critici, più o meno speranzosi, più o meno indignati sui social mentre impastavo pasta, pane e pizza, preparavo torte e crostate e mangiavo una quantità indefinita di cibo.

Sempre sui social ho tenuto il passo con i ripetuti flashmob musicali organizzati nei quartieri sia quando – dalla mia mansarda di Lavorandia – il baccano arrivava forte e chiaro, sia quando – dalla campagna in cui si trova la casa dei genitori – non si sentiva comunque volare una mosca.

Sono rimasta in contatto con amici e parenti grazie a telefonate e messaggi su cellulare. E sempre su cellulare ho ricevuto meme e raccomandazioni divine, pareri e consigli mammeschi da genitrici da nido incallite, audio e vocali dai toni vari da persone anche lontane, a volte sconosciute, mentre la mia vita andava avanti in compagnia delle poche conosciute. Sempre le stesse facce, giorno dopo giorno.

Non ho mai messo il naso fuori casa, fatto salvo per quell’unico viaggio che qualche settimana fa ci ha portati da Lavorandia alla campagna (l’unico a uscire, per quelle poche spese o commissioni di questi giorni, è stato Pilush).

Per settanta giorni non sono mai più salita su un’automobile, non mi sono mai più truccata, né ho indossato un paio di jeans o un paio di scarpe chiuse.

E, a dire il vero, non l’avrei fatto neanche oggi. Oggi che i negozi hanno riaperto, le persone hanno potuto dire addio all’autocertificazione, e che mezza Italia è ripartita nel pieno di questa cosiddetta Fase 2.

Poi però, stamattina, Pilush – mentre lavorava, come consueto, al suo ultimo passatempo contadino – ha urtato un ferro arrugginito che sporgeva da una vecchia porta ferendosi – a suo parere – in maniera quasi letale.

E sapete come funziona nelle case delle nonne, no? Sono sempre piene di roba ma sul più bello, quando una cerca dei cerotti, o del disinfettante con un po’ di ovatta, o un semplice vaccino antitetanico, beh, ecco che non si trova nulla.

E così, dicevo, stamattina, dopo esattamente 70 giorni (che poi sono ben 1.680 ore) di totale reclusione ho anch’io recuperato una specie di mascherina e mi sono lanciata in quel mondo che non vedevo da così tanto tempo (analogicamente parlando).

Certo, si è trattato di una ventina di minuti, mezz’ora al massimo. Nessun parco, spiaggia, o giro in centro per un po’ di shopping, solo una piccola farmacia di paese.

Non importa.

Io oggi ho rivisto il mondo, e ho rindossato – dopo 40.320 minuti circa di astensione –  un reggiseno.

Questa giornata non può che segnare la fine ufficiale della mia prigionia.

 

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Sessantanovesimo giorno di prigionia.

Il Doduck Zio ci ha raggiunti all’alba per ogni giorno da una settimana, ovvero da quando Pilush – sulla scia dell’entusiasmo di una quarantena in campagna che lo aveva già portato all’allestimento di un orto – non aveva annunciato di voler prendere a costruire un pollaio senza sapere neanche come tenere in mano una pala e l’uomo, mosso da pietà, si era offerto di aiutarlo.

I due hanno lavorato assiduamente per ore e ore, hanno ripulito la zona, estirpato erbacce, spostato massi, hanno costruito la recinzione, hanno ammucchiato assi, montato una porta, piantato viti, misurato, segato, piallato, martellato senza sosta.

Oggi, poi, lo zio non si è presentato.

Un po’ – probabilmente – perché il lavoro può ritenersi ormai quasi ultimato, un po’ perché si sa come vanno queste somme creazioni: al settimo giorno ci si riposa da tradizione.

Ma Pilush, che è perfezionista per natura, all’alba si è recato comunque sul posto iniziando a fare valutazioni e a ragionare su cosa ci fosse ancora, a suo parere, di urgentissimo da sistemare.

Ha così avuto la brillante idea che l’intera area potesse essere piastrellata approfittando di mattonelle residue da recenti ristrutturazioni, recuperabili in garage. Un lavoraccio che lui avrebbe compiuto volentieri: per le sue future gallinelle questo e altro! Certo, se avesse avuto ancora per un giorno il suo fedele aiutante…

Dev’essere stato mettendo insieme questi due pensieri, aiutante + lavoraccio, che gli è venuta la brillante idea di tirarmi giù dal letto per costringermi a fare la mia parte.

E niente, scrivo ora queste brevi righe con le poche forze che mi rimangono dopo ore passate a sollevare pacchi con i preziosi mattoncini multicolore, e a spostare carriole di ceramica, e ad allineare quel precario pavimento fra la terra e i sassi, e a discutere con Pilush su quanto il prodotto finale composto da scarti dalle forme e tonalità così diverse, assemblate in modo così creativo dalla sottoscritta, poco rendesse giustizia allo splendido lavoro fatto dal ragazzo fin qui.

Ingrato ragazzo.

Perle ai porci, mi verrebbe da dire. Se solo non rischiassi di fargli venir voglia, come prossimo progetto contadino, di prendere dei maiali.

 

 

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Sessantasettesimo giorno di prigionia.

“Pilush,..?”

“Uhm…”

“Pilush, stai dormendo?”

“Uhm…”

“Eddai, Pilush, da quando hai preso a seguire questi orari da campagnolo non ci incontriamo più…”

“Eh?”

“Ma sì, giochi a fare il contadino, ti alzi ogni giorno all’alba per costruire il tuo pollaio e poi la sera sei da buttare. Uffa!”

“No, no, ci sono.”

“E io che lavoro al pc tutto il giorno, e penso a Ciotti, e alle colleghe pazze, e a tutto il resto, quando posso fare due chiacchiere con te se non dopo cena?”

“Dimmi, Doduck, ho detto che ci sono. Devi raccontarmi qualcosa?”

“Stamattina, insieme alla collega Sisch, ho presentato il nuovo progetto a quel cliente diffidentissimo di cui ti accennavo. Alla fine è andata piuttosto bene, cioè, non lo so, non c’è ancora una firma ufficiale ma dalla webcam mi sembrava di intravedere una faccia soddisfatta. Insomma, dai.”

“Bene.”

“Bene, anche se Satti e Sisch sono sempre più in burrasca. Continuano a litigare e litigare e non se ne viene a capo.”

“Uhm.”

“A proposito di capo, prima ho scritto a Capo Ridens chiedendogli come la vedesse. La situazione fra queste due, intendo. E se potessimo risolverla in qualche modo. Figurati, non mi ha neanche risposto.”

“MMmm..”

“Ah! E Ciotti! Sì, Ciotti, oggi mi sembrava stanca di giocare sempre con gli stessi giocattoli allora ho pensato di inventarmi qualcosa di diverso, però non è facile quando sei chiuso in casa da mesi, e alla fine? Alla fine l’illuminazione! Sai che qui a casa della Doduck Mamma abbiamo una soffitta? No, forse non lo sai, non puoi mica sapere tutto. Beh, qui nel sottotetto della casa della Doduck Mamma abbiamo una piccola soffitta molto disordinata in cui teniamo le classiche cose che si tengono in soffitta, addobbi di Natale, vestiti di carnevale, la tenda da campeggio, la piscina gonfiabile. Beh, mi è venuto in mente che sarei potuta andare a dare un’occhiata per vedere se ci fosse qualcosa con cui potesse giocare Ciotti. E così ho fatto! Mi sono avventurata fra quelle ragnatele e ho effettivamente trovato uno scatolone di giocattoli che non vedevo da almeno una ventina d’anni. Ma che la Doduck Mamma non butti via niente è risaputo. E allora li ho portati giù, li ho spolverati uno a uno e proposti alla bimba, dagli animaletti di gomma, ai cartoncini del memory, ai cubi da impilare, alle palline colorate, e lei li ha scrutati e esaminati tutti, da cima a fondo, e alla fine ha scoperto un bambolotto a cui io stessa ero molto affezionata da piccola e niente, le si è appiccicata e se l’è portato girando per tutto il giardino, stringendolo fra le braccia e sorridendo con quel suo sorriso sdentato come se fosse la cosa più bella del mond…Pilush? Ci sei ancora?”

“Uhm? ehm? Sì, mmm…”

“Cosa ho detto?”

“Ehm, uhm, Ciotti, bambolotto.”

, il bambolotto, anche se ti dirò, non le è dispiaciuto neanche l’elefantino a carillon, sai che ha un debole per melodie e musichette. Figurati che costringe la nonna a farle sentire la stessa canzone per dieci, quindici volte di fila. E la nonna le sta appresso, capirai. Che le nonne sembrano essere state create apposta per stare appresso alle nipotine insistenti. Pensa che a volte riesce a coinvolgere anche il nonno, e le sta in qualche modo dietro pure lui, anche se un po’ così, lo capisci. E io invece, io la crederei matta e a volte perderei quasi la pazienza, se non fosse che è davvero così adorabile. Dolcissima e adorabile! Pilush? Mi senti?”

“Uhuhm…”

“Cosa ho detto?!”

“Ehm, adorabilissima..”

“Chi?”

Chi. Chi? Satti, la collega.”

“Eddai, Pilush!!”

“Chi. Uhm. Mmm..'”

“Mannaggia.”

 

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Sessantesimo giorno di prigionia.

La Doduck Mamma non è una tipa semplice, ormai lo avrete capito.

Le cose, o si fanno come dice lei, o non si fanno proprio. È puntigliosa all’invero simile, convinta nelle sue convinzioni e, a tratti, esasperante.

Tutto sommato, però, è una persona buona. La situazione a casa con il Doduck Papà, in più, non è delle più semplici, dunque io e Pilush tentiamo il più possibile di sollevarla da incombenze a cui non debba rispondere lei direttamente.

E così io mi dedico a faccende domestiche per sentirmi puntualmente dire di aver caricato male la lavastoviglie, di aver messo poco sale nella pasta, di aver sbagliato il posto a vestiti e suppellettili, di aver irreparabilmente rovinato un ordine esistente solo nella sua testa, incrinato un equilibrio che solo lei percepiva, o fatto morire piantine già rinsecchite.

E Pilush – oltre a prestarsi ai lavori contadini più faticosi – aggiusta porte sentendosi recriminare di lasciare fuori posto cacciaviti e attrezzi, aggiorna pc rischiando la gogna per aver spostato icone sul desktop, sostituisce lampadine che lui non ha fulminato ma che per lei sì.

Un’altra cosa di cui si occupa poi Pilush in questi giorni – probabilmente la più spinosa – è uscire a fare la spesa.

In famiglia abbiamo – come tutti, del resto – ridotto le uscite di questo tipo a una ogni dieci giorni circa. Per l’occasione la mamma prepara una lunga lista ragionando su tutto quello che serve, potrà servire o servirà. Divide ogni cosa per reparto, e elenca tutto in ordine di posizione dall’ingresso all’uscita del supermercato così che Pilush, compratore in terra non sua, possa orientarsi al meglio.

Di ciascun prodotto, l’astuta donna, dà poi una spiegazione ulteriore e dettagliata, a partire banalmente da marche in e marche out, fino ad arrivare alle dimensioni e colore ideali di uno o di quell’altro ortaggio, al grado di umidità di un buon pan grattato, al livello corretto di grasso al di sotto del quale desistere dall’acquisto del prosciutto crudo.

Il solerte genero si appunta ovviamente tutto prima di uscire, un po’ per accontentarla, un po’ sperando, prima o poi, di riuscire nella missione di ritirarsi con una spesa che non consenta alla suocera possibilità di ribattere.

Lascia poi casa, ogni volta, confuso e spaventato di fronte a ciò che l’aspetta. E rientra, dopo un paio d’ore spese in elucubrazioni, riflessioni e indecisione, consapevole che – scontrino alla mano – riceverà l’ennesimo cazziatone.

Oggi, per il povero Pilush, si trattava nuovamente di giorno di spesa.

Stamattina ha puntato la sveglia all’alba così da riuscire a recarsi al supermercato presto e avere tutta la calma di dedicarsi alla lista redatta ieri sera, con cura, dalla mamma, prima dell’arrivo dei clienti delle ore di punta.

Ha esplorato ciascun reparto, valutato ogni singolo prodotto tra quelli elencati, ragionato sulle varie offerte, chiesto informazioni a commessi e cassieri, riempito due carrelli di roba e si è, infine, spinto fino al banco del pesce per affrontare la sfida del giorno: reperire la giusta qualità di pesce che la suocera avrebbe trasformato in zuppa per pranzo.

È rientrato a casa fiero di aver trovato tutto quello che lei aveva scritto e, in più, delle seppioline dall’aspetto candido e tenerissimo, e degli scampi dall’aria succosa e croccante e un bello scorfano che di meglio non si sarebbe potuto desiderare e che avrebbe concorso a dar vita a una zuppa da far invidia al re dei sette mari.

E la mamma, una volta ottenute quelle buste piene di roba, ha esaminato ogni singola cosa, facendo osservazioni su date di scadenza troppo prossime, sul numero eccessivo di bottiglie di salsa e esiguo di chili di farina, bocciando formati di pasta a suo dire immangiabili, inveendo contro chi aveva confezionato male questo prodotto o tagliato irresponsabilmente quel pezzo di formaggio, selezionato incoscientemente dal povero ragazzo. È infine arrivata al sacchetto del pesce che ha aperto con grande stupore.

Davvero mai visto pesce tanto bello, e dall’aria così fresca, e dal profumo così intenso.

Si è allora rivolta a Pilush che, avendo percepito una più unica che rara soddisfazione nelle movenze della suocera, già iniziava a gongolare.

Gli ha urlato di raggiungerla in cucina a osservare lui stesso quel meraviglioso pesce solo per poi distruggerlo ancora una volta: che è ovvio che, se questo offriva il banco pescheria oggi, avrebbe dovuto comprarne almeno il doppio!

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Pubblicato in: Istanze, Portfolio

Cinquantacinquesimo giorno di prigionia.

Per il momento basta contagi, basta terapia intensiva, basta pandemia.

La vera questione su cui il Paese è in subbuglio oggi è una e una soltanto: pare che Striscia la notizia, noto programma satirico, abbia – tramite la voce di Michelle Hunziker – insultato la giornalista Giovanna Botteri, inviata del TG1, per il look poco curato con cui si presenta quotidianamente durante le sue dirette da Pechino.

Cara Michelle, mannaggia.

Tu mi sei anche simpatica, se devo dirla tutta. Non so, mi metti allegria! E in più immagino pure che qualsiasi cosa tu abbia detto non dev’essere certo farina del tuo sacco. Sì, insomma, esistono fior fior di autori e di stagisti degli autori della redazione di Striscia che, per ruolo, si saranno occupati del tuo copione producendo il servizio dello scandalo che tu ti sei ritrovata fra le mani, un po’ per caso, e che ora starai maledicendo dalla tua terrazza bergamasca.

E Striscia è anche il programma che ha lanciato in Italia il concetto di Veline per come le intendiamo attualmente, voglio dire, di che ci stupiamo?

Michelle, non è il servizio ironico o meno, davvero. È che proprio non se ne può più di certi scivoloni, nel 2020, non sappiamo più come dirlo. Che già dobbiamo lottare contro il mondo, contro la storia, e contro la percezione comune, per difendere quote rosa negli organi decisionali, per non essere relegate in casa con il ruolo primario di madri e donne, per non essere considerate carne da macello se osiamo viaggiare da sole o semplicemente tornare a casa la sera senza accompagnatore. Non possiamo – a tutto questo – aggiungere il fastidio di donne che umiliano donne, o che si alzano a paladine di altre donne, e un attimo dopo cascano nuovamente nell’insulto.

Voglio dire, se tu ci parli spesso del tuo impegno quotidiano contro la violenza di genere, e poi caschi su questa buccia di banana, è un attimo che diventa tutto ridicolo e ci incazziamo, capisci?

Sì, insomma. Basta, dai. Dovremmo, ormai tutti, donne e uomini, su certe cose allearci con coerenza, non ridicolizzarci alla prima occasione, o farci la guerra!

Non ne abbiamo già parecchi, di casini, con cui avere a che fare?

È anche vero, però, cara Michelle, che seguendo questa vicenda non ho potuto far altro che notare una cosa, e ora mi rivolgo a tutte le altre e gli altri che stanno prendendo la parola in queste ore. A tutte quante, e quanti, per difendere la Botteri, ti stanno dando dell’oca bionda, dicendo che stai lì solo perché moglie di, o che hai avuto successo nella vita solo per il tuo bel viso, o grazie al tuo di dietro, ancora più telegenico. 

Non vi sembra facile sessismo da tastiera anche questo?

Non credete che il confine fra battuta e body shaming possa essere davvero sottile e che forse in molti dovremmo farci un esame di coscienza?

Come i commenti sulle sportive con quei muscoli da uomo. O sulle influencer troppo magre. O su uomini troppo curati. O su persone in carne che osano mettersi i leggins. Ma davvero ancora, nel 2020, ci sono indumenti che per l’opinione pubblica si possono o non si possono indossare? Eddai!

Mannaggia Michelle, proprio non se ne esce!

Io la butto lì: facciamo che smettiamo proprio di pronunciarci sugli altri? Anche quando crediamo di non star dicendo nulla di male, anche quando pensiamo di essere simpatici. Facciamo che evitiamo comunque? Così, per non sbagliare.

Facciamo che d’ora in poi valutazioni e giudizi li diamo solo ognuno sul proprio conto?

Io, per esempio – parlando per me – devo ammettere che, da quando sono chiusa forzatamente in casa, mi lavo quando ho voglia e non mi depilo più. E vorrei che il motivo fosse l’essere troppo indaffarata a informare il mondo con dirette intercontinentali, come immagino sia per l’ottima Giovanna, ma la verità è un’altra.

La verità è solo che non me ne frega proprio niente.

 

 

Peanuts 2015 gennaio 23 - Il Post