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Trentottesimo giorno di prigionia.

La Doduck Mamma è una tipa tosta.

Nata al mare, insegnante di scienze per lavoro ed esperta di erbe spontanee per passione, vivrebbe le sue giornate a mollo o a contatto con la natura.

È molto decisa nella sua indecisione, socievole nella sua misantropia, organizzata nella sua totale disorganizzazione, quasi ordinata nel suo assurdo disordine. Insomma, è una di quelle persone un po’ folli, di cui ci si ricorda facilmente.

È parecchio esigente. Con tutti. Dai figli, agli alunni, agli sconosciuti. Ha inoltre una buona predisposizione a discutere con la gente. Ci prova proprio un po’ gusto. È attenta, e convinta delle sue tesi che promuove a spada tratta, a costo di farsi dei nemici. In questo modo, di solito, si fa molti amici.

La Doduck Mamma è un po’ sconclusionata ma indipendente, ingenua, per certi versi, molto sgamata per altri. Ha conosciuto il Doduck Papà quando era una giovane universitaria inesperta della vita, trasferitasi da sola in una nuova regione, più per voglia di ribellione e allontanamento da casa che per altro, e alle prese con la scoperta del mondo, dal come costruire una famiglia, a come guidare una macchina, a come non credere a chi vende enciclopedie porta a porta.

Ha trascorso 35 anni affidandosi e consigliandosi con quell’uomo di 9 anni più grande di lei e ora – ora che lui ha perso un po’ la guida – lei si è resa conto di sapere effettivamente tutto di come gira il mondo, di come va la vita, di come funziona una famiglia, e di essere pure diventata una pilota provetta. Ma non riesce ancora a non farsi abbindolare da una televendita, anche se non lo ammetterà mai.

La Doduck Mamma è orgogliosa, furba e molto forte. Non sa cosa sia lo spirito di adattamento. Se può fare delle precisazioni le farà. Se può recriminare cose, le recriminerà. Ha uno speciale odio verso due categorie di persone in particolare: quelli che la mandano in confusione suonandole il clacson mentre guida, quelli che la contattano da call center telefonandole da numeri vari che puntualmente memorizza sul cellulare con epiteti didascalici riassuntivi della serie “deficiente telefonia mobile“, “imbecille pannelli solari“, “bastardo trading online“.

Una grande passione della Doduck Mamma è la cucina, con una particolare predisposizione per quella ipercalorica. Da quando l’abbiamo raggiunta in quarantena, un paio di settimane fa, ha fatto fuori 36 uova, tre bottiglie d’olio, 4 panetti di burro, 2 kg di zucchero. Le pietanze che inglobavano questi ingredienti neanche le ricordo.

Soffre effettivamente di colesterolo alto ma sostiene, a volte, che l’alimentazione non c’entri e che si tratti solo di una questione ereditaria. A volte, che la vita è una sola e non sempre felice, e che sia dunque meglio godersela come si può.

Quando, un paio di anni fa, Pilush ha capito che non di fitness avremmo vissuto ha insistito con la suocera perché facesse di questa sua passione un business e l’ha accompagnata a un provino di Masterchef convinto che l’avrebbero presa, se non per quelle singolari capacità di concentrazione calorica, almeno per il personaggio.

E lei giura anche che nei mesi successivi al provino qualcuno abbia provato a contattarla ripetutamente, probabilmente per confermarle l’ammissione al programma. Telefonata a cui, però, lei – presa dall’abitudine – non ha mai risposto, memorizzando da subito il numero come “scocciatore super insistente” e realizzando, solo in un secondo momento, di aver probabilmente perso l’occasione della vita.

La Doduck Mamma è rapida e pragmatica. Si rapporta alle criticità in maniera soggettiva, cercando a volte di trovare qualche soluzione, più spesso tentando di raggirarle con motivazioni del tutto personali. Questa cosa del virus e della quarantena, poi, ancora non la convince a pieno e dunque ci si rapporta come può.

Così passa alcune giornate imprecando contro il sistema, contro il governo che l’ha abbandonata in casa con un disabile, e contro il ministero dell’istruzione che pretende che si metta a tenere lezioni online, lei, che ha tutt’altro per la testa! Spende invece altre giornate a gioire per la bella opportunità di passare un sacco di tempo con la nipotina, e di staccare un po’ dalla routine. E così alcuni giorni ringrazia il Cielo per tutti gli aiuti che sta avendo dai volontari che, vista la sua condizione, le portano spesa e farmaci fin davanti casa, altri giorni, però, si sveglia decisa a mettere in moto la macchina e ad andarsi a procurare da sola tutto quello che le serve, dall’igienizzante mani al secondogenito rimasto in isolamento a 200km da lei, dalla cioccolata per dolci, alla sorella che vive dall’altra parte d’Italia.

Mi riferisco a giorni come quello di oggi, in cui avrebbe osato davvero di tutto.

‘Ché va bene giocare alla pandemia e tutto il resto, ma che nessuno provi a dirle cosa può o non può fare nel giorno del suo compleanno!

 

 

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Sinca

Da qualche giorno ci siamo rifugiati a casa dei miei genitori. Complice il caldo di Lavorandia da cui fuggire, qualche ora di congedo di maternità facoltativa da poter sfruttare e una serie di incombenze che impegneranno Pilush per un po’, venerdì pomeriggio abbiamo caricato Ciotti e un centinaio di bagagli in macchina e siamo partiti alla volta della “casa dei nonni”.

Da quando vivo a Lavorandia tornare a casa è sempre impegnativo. Oltre ai km da percorrere e ai tempi da organizzare, ogni volta che si torna bisogna fare i conti con le abitudini nuove, con i ricordi che affiorano, con le persone che si sono lasciate e con quelle che si ritrovano. Insomma, con i cambiamenti.

Mia madre ultimamente si è appassionata a questo blog: “dovresti scrivere della mia nuova gatta“, mi ha detto la sera che siamo arrivati.”L’ho trovata un mesetto fa e l’ho chiamata Sinca. È latino. Da sine caudam: senza coda”. Io ho provato a spiegarle che non avrebbe molto senso parlare della sua gatta sul mio blog, che sì, insomma, di solito scrivo di altro, stagismo, sfiga, una lunga serie di sfortunati eventi e compagnia bella. “Beh, il fatto che non abbia la coda è una bella sfiga, sarai d’accordo. Non è neanche tanto bella. Eppure sembra una gatta felice. Puoi scriverlo.”, prova a convincermi.

È che la mamma è nuova qui, su questo sito, ci sta che non abbia capito proprio bene bene come funzioni. Il vero fan di queste pagine, fino a qualche tempo fa, era invece papà che – non brillando certo di salute e costretto a passare molto tempo a casa – si intratteneva quotidianamente davanti al PC leggendo le castronerie che di volta in volta quella sua figlia lontana trovava il coraggio di digitare.

Beh, dopo l’ictus di settembre papà non ha più aperto il computer e questo è un bel problema perché, a ben vedere, rischia di perdersi qualche importante puntata della mia vita. Continua a leggere “Sinca”

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Di lunedì

Mannaggia Pilush, ‘sta gravidanza mi distrugge, ora ci mancava l’incontinenza. Sì, ti ho detto, un minuto e vengo a letto! Fammi solo prendere degli slip asciutti, questi sono zuppi e ne ho già cambiati due paia in cinque minuti. Acque? Ma quali acque! Incontinenza, ti dico, è segnalata fra gli effetti collaterali dell’avere un pancione così grosso. Acque? Dici? Ma non può essere, a quest’ora, e tu domani devi lavorare, e mancano ancora 8 giorni alla scadenza, e la valigia del parto, la valigia non è ancora pronta, non credo si siano rotte le ac….ahi, Pilush, la pancia. Continua a leggere “Di lunedì”

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Gente allegra, il Ciel l’aiuta!

La zia suora è la sorella di mia nonna, ha 93 anni e ha preso i voti per l’Ordine di Sant’Anna 75 anni fa.

Per un caso fortuito abita a Lavorandia da sempre, da prima ancora del mio arrivo qui, sebbene il luogo sia a chilometri e chilometri di distanza dalla nostra città d’origine e tanto che la sua effettiva esistenza era niente poco più di una leggenda per noi nipoti, fin quando l’inizio di uno stage nella stessa città della monaca non mi ha portato a verificarne di persona l’autenticità.

Vive, con una trentina di altre sorelle a lei coetanee, in un istituto non troppo distante dall’Azienda Ridens, un luogo buio e austero a cui sono approdata nei miei primi giorni da stagista, in cerca di cibo e di un tetto, come nei migliori romanzi di formazione.

A dispetto del luogo, le suore mi hanno accolto fin da subito con il giubilo che ho scoperto poi contraddistinguere ogni momento della loro giornata, decidendo che – in virtù delle mie visite reiterate – potessi essere un po’ una nipote condivisa a cui smollare caramelle decennali e pasticcini di marmoContinua a leggere “Gente allegra, il Ciel l’aiuta!”

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Puad

Puad è paffuto e riccioluto. Sui capelli neri ha sempre qualche residuo bianco, forse forfora, forse briciole, non saprei.

La voce di Puad inizia grave e finisce acuta, a ogni frase. A volte tende per questo a diventare fastidiosa, ma solo a volte.

Puad è arrivato nell’Azienda Ridens circa un anno fa, un mese dopo di me. Solo stamattina ha finalmente firmato il suo contratto di stage. Ma a Puad non interessa. Puad è un tipo tranquillo e senza troppe pretese. Appassionato di trash e cultura pop anni ’90, è amico di tutti qui. Passa da un ufficio all’altro, facendo qualche battuta o raccontando qualche suo aneddoto e riesce così a intrattenere chiunque, dalla signora che fa le pulizie ai tre capi che – di fronte a cotanta purezza e spontaneità – non possono far altro che farsi due risate da dentro le loro cravatte. Per lo stesso motivo, Puad è il re del gossip aziendale. Sempre aggiornato su ciò che accade, detiene le confidenze di tutti e ogni tanto si lascia scappare più del dovuto creando scompiglio fra gli uffici.

Puad è disponibile ma un po’ pigro, dunque quando può sparisce. Si dilegua. Finge di poterci essere, ma poi scompare. Gli capita soprattutto quando si tratta di fare lavori corporei, che ne so, spostare scatoloni, allestire sale. Puad, sempre ovunque e in mezzo a tutto, ha proprio una capacità innata nel capire quando è il momento di non farsi trovare. Continua a leggere “Puad”