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Cinquantatreesimo giorno di prigionia.

Lungi da me alcun tipo di egocentrismo, lo sapete bene, sono una povera ragazza io, costantemente in balia degli eventi, e assoggettata, di volta in volta, al volere di cose molto più grandi di me, tipo il Capo, il fato, o la Doduck Mamma.

Perennemente sottomessa alla diffusa sfiga stagistica di cui più volte vi ho raccontato, riesco di rado a godermi volutamente una gioia, prendermi un merito o anche solo, concedermi un festeggiamento, per dire, neanche quello per il mio compleanno. Ecco, il mio compleanno, ad esempio, passa da anni un po’ inosservato. Nessun regalo, nessuna festa, qualche sporadico augurio grazie ai meccanismi mnemonici di Facebook, insomma, una vera tristezza! E non so perché. Non sono mica una di quelle che mente sull’età o che detesta l’allegria, no, è solo che va così. Dall’alba dei secoli. Figuratevi che mio fratello è nato esattamente 364 giorni dopo di me. Questo sapete che significa? Significa che non ho potuto festeggiare in santa pace neanche il mio primissimo compleanno, ecco cosa significa!

Ad ogni modo, se considerate che sono nata il 16 agosto, l’ho presa un po’ alla larga, mi pare evidente. Non è effettivamente di questo che voglio parlarvi oggi.

Oggi è il primo maggio, giornata – lo sapete – dedicata ai lavoratori. A chi un lavoro ce l’ha, a chi lo aveva, a chi lo vorrebbe, a chi ha lottato per tenerselo, o per avere condizioni migliori, a chi ha denunciato soprusi sul lavoro, a chi lavora da solo, a chi lavora con dei colleghi, a chi parla di lavoro alla gente, a chi si trova in cassa integrazione durante una pandemia, a chi lavora da casa, da dietro un pc o tramite un telefono, con figli a carico, senza speranze.

Insomma, signori, lungi da me prendermi degli immeritati meriti, ve l’ho detto. Ma, converrete, che questa festa odierna sia proprio dedicata alla sottoscritta che le sopracitate micidiali caratteristiche le racchiude tutte insieme, in un unico corpicino esile e affaticato dalla vita!

Alla sottoscritta, stagista-apprendista perenne, nonché unica titolare di questo blog che ha dato i natali al concetto di sfiga stagistica e che, esclusivamente sulle tristi vicende a essa legata, si mantiene.

Alla sottoscritta che – per di più – attualmente lavora in una formula di smart-working-cassa-integrato, una specie ibrida di meccanismo che solo la perfida mente di Capo Ridens poteva ideare e che – in parole semplici – vuol dire che lo stipendio a breve verrà ridotto, ma che allo stesso tempo l’Azienda pretende che la produzione continui (con progetti e idee nuove che risollevino le sorti mondiali).

Alla sottoscritta, il cui apprendistato non finirà praticamente mai più, dato che – in circostanze come questa – il periodo dei tre anni previsto per gli apprendisti viene, di prassi, sospeso per poi essere riattivato a fine emergenza (sospensione che era già avvenuta durante i mesi in cui sono finita in maternità. Tipo che, sono già apprendista da cinque anni, senza essere ancora arrivata neanche a metà percorso).

Insomma, viste tutte queste caratteristiche e circostanze, io oggi voglio pensare che quella odierna, istituita in onore dei lavoratori, sì, ma anche di tutte le lotte che essi hanno portato avanti nei secoli, sia più che mai da ritenersi la mia festa.

Di una stagista-apprendista cronica che continua a lavorare e resistere imperterrita, al di là del tempo, dello spazio, delle circostanze, al di là della sfiga stagistica per sempre fedele. Nei secoli e per i secoli.

Cin cin!

 

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Cinquantunesimo giorno di prigionia.

“Buongiorno cara cliente, come sta?”

“Buongiorno cara Doduck, non c’è male, dai, e tu?”

“Anche io non mi lamento, certo la situazione è quella che è…”

“Eggià…”

“Ma all’Azienda Ridens andiamo avanti con il lavoro.”

“Eh sì, beati voi. Noi che ci occupiamo di turismo, in questo periodo, invece, siamo proprio fermi.”

“Lo immagino, vi chiamavo anche per questo.”

“Ah sì?”

“Beh, sì, in questo periodo difficile volevamo farvi sapere che l’Azienda Ridens c’è, vive e soffre insieme a voi, e se può esservi d’aiuto, beh, ecco…”

“Oh, grazie, cara Doduck, ma ti dirò…”

“Si?”

“A dire il vero non ce la passiamo così male.

“Come no? Le attività non sono chiuse?”

“Sì, sì, ma qui siamo persone tendenzialmente ricche. Abbiamo tutti da parte un bel gruzzoletto, non sono certo questi pochi mesi di stop a preoccuparci.”

“Ah, beh, in tal caso…”

E poi ho sentito che a Lavorandia piove.

“Ehm, sì, in questi giorni sì.”

“Qui invece abbiamo un bel sole.”

“Ah. Buon per voi!”

“Inoltre abbiamo un sacco di verde, aria buona e il mare. Soprattutto il mare!”

“Oh, il mare…”

“Eh sì, il rumore del mare e il profumo di salsedine che si sente anche da casa. E voi, a Lavorandia, come fate senza mare?”

“Eh, guardi,… così…”

“Poi abbiamo un’ottima cucina a tenerci compagnia, la più buona del mondo.”

“Uhm.”

“E suoni, e colori, e la quiete, sì insomma – da addetta turistica non dovrei dirlo, forse – ma la quiete di questi giorni è impagabile, e senza lock-down a quest’ora saremmo invasi dal frastuono.”

“Lo immagino.”

“Insomma, Doduck, grazie del tentativo ma al momento il supporto dell’Azienda Ridens non ci serve.”

“Oh, beh, capisco…”

“Anzi, mi spiace un po’ per voi…

“Per noi?”

“Beh, sì. Ho avuto modo di riflettere tanto nell’ultimo periodo e ho capito di trovarmi nella parte giusta del mondo.”

“Per il mare.”

“Per il mare! E per tutto il resto. Insomma, mi sono più volte detta che, anche potendo scegliere, in caso di un’ulteriore necessità di quarantena mondiale vorrei trovarmi proprio qui. Ed è una bella consapevolezza, credimi.”

“Oh, lo credo bene.”

“Dico davvero! Non vorrei mai e poi mai trovarmi, per esempio, a Lavorandia.”

 

 

Charlie Brown, sighing, with the word 'sigh' surrounded by what ...

 

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Quarantanovesimo giorno di prigionia.

Lunedì. La nuova settimana si è aperta con un’agenda ricca di videochiamate già fissate, presentazioni da ultimare e questioni lavorative da risolvere. Il tutto, da sommare al clima di incertezza nazionale lasciato dalle ultime decisioni del governo in merito alla Fase 2.

Insomma, un disastro.

Conscia che, viste le premesse, le possibilità di sopravvivenza generali (al virus, alle colleghe, all’accidia, alla vita) tendessero improvvisamente allo zero, stamattina ho deciso di sedermi a lavorare in giardino. ‘Chè se dobbiamo morire tutti, meglio farlo all’aria aperta.

Mi sono dunque allestita un bell’angolino: ho recuperato le poltroncine di plastica verde dal garage e attaccato le gambe al tavolino in coordinato. Ho trovato un vecchio ombrellone che ho sistemato al centro del tavolo, con la giusta inclinazione terra-cielo. Mi sono assicurata di avere una bottiglia d’acqua e una di succo di frutta tanto da garantirmi un approvvigionamento di liquidi adatto a coprire le successive mille ore di lavoro. Ho anche preso qualche biscotto dalla dispensa, così, come dispositivo di protezione individuale in emergenza.

Ho raggruppato pc portatile, agenda, calendario, cellulare, cuffie e trasformato quel tavolo verde da giardino in scrivania. Poi ho preso un cuscino per quella sedia che mi pareva effettivamente un po’ scomoda per fingersi poltrona da ufficio. In seguito ho recuperato anche il caricabatterie del pc, dimenticato in casa durante l’allestimento iniziale. Ho allora provato a collegare il pc alla presa di corrente posizionata sulla parete più vicina alla mia postazione ma mancava l’adattatore. Ho dunque cercato un adattatore nei ventimila cassetti del soggiorno della casa e dopo averne finalmente trovato uno che avesse la giusta dimensione e non sembrasse rotto, ho provato ad attaccare il cavo risultato però troppo corto. Così ho preso a spostare l’intera postazione, più volte, cercando di individuare la posizione adatta che consentisse di attaccare il pc alla corrente senza estendere troppo il cavo, ma anche di non finire contro luce e accecata, senza più possibilità di leggere nulla sullo schermo, ma anche di non rimanere in ombra e al freddo, ma anche di essere alla giusta distanza dall’ingresso in casa e dal bagno, ma anche nella giusta angolazione per buttare un occhio, all’occorrenza, all’altalena su cui avrebbe giocato Ciotti nelle ore pomeridiane.

Dopo lunghe modifiche e aggiustamenti, ho infine iniziato questa settimana e giornata lavorativa soddisfatta nella mia comoda postazione soleggiata che tutti mi hanno, effettivamente, invidiato, intravedendo alberi e nuvole alle mie spalle, in webcam. Ho staccato solo per un rapido pranzo e poi sono tornata all’opera per un lungo pomeriggio di incontri e appuntamenti virtuali dal mio ufficio en plein air.

Insomma, la trovata per svoltare questa prigionia, ne converrete.

Se non fosse che stasera, dopo queste dieci/dodici ore di ragionamenti al sole, mi ritrovo in stato semicomatoso, con gote rosse, brividi di freddo e la triste consapevolezza che non si possa, davvero e in nessun modo, provare a fregare la sorte.

 

Annotazione 2020-04-27 211552

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Quarantaseiesimo giorno di prigionia.

“Pronto, Doduck, come stai?”

“Pronto. Capo Ridens?! È davvero lei?”

“Sì, Doduck, sono io.”

Perché mi sta chiamando, Capo Ridens?”

“Te l’ho detto, Doduck, voglio sapere come stai, no?”

“E poi?”

“E poi niente, volevo che mi raccontassi un po’ come sta andando.”

Come sta andando, cosa?”

“Mah, tutto. A casa?”

“A casa?”

“Beh, sì, e a lavoro…?”

“A lavoro,…”

“A lavoro.”

A lavoro, cosa?”

“Mah, a lavoro, progetti, clienti, contratti, videochiamate,…”

“Sì? E poi?”

“E poi niente, Doduck,…”

“E poi?”

“E poi… Satti e Sisch, Doduck. Tu devi dirmi se c’hai capito qualcosa con quelle due, Doduck,…

“Eccallà.”

“Dimmelo. Ti prego! Continuano a litigare da giorni, e una mi telefona piangendo, l’altra mi chiama inveendo, e una dice di sentirsi frustrata e incompresa, e sottovalutata, e sull’orlo di una crisi di nervi, e l’altra sostiene di essere l’unica competente, e sottovalutata, e sovraccarica di lavoro, e di responsabilità improvvise, e di impegni, perché la prima non combina più niente. Oddio, Doduck, non ne posso più! Dimmi che devo fare!”

“Beh, si figuri che avrei voluto fare io la stessa domanda a lei…”

“A me?”

“Certo, Capo Ridens. È o non è stato lei a metterle insieme nello stesso ufficio pur conoscendo i loro dissapori?”

“Beh, sì, ma credevo…”

“È o non è stato lei ad appiopparmele come co-responsabili, pur intuendo l’odio reciproco?”

“Certo, però…”

“È o non è stato lei a mollarmi in smart working, in preda alle loro manie? Ad abbandonarmi in balia dei loro malumori, tempeste ormonali e prevedibili dispetti vicendevoli?”

“Ma io…non credevo…”

“Non credeva?”

“Ma sì, cioè, sai come vanno queste cose, pensavo avrebbero trovato un accordo…”

“Beh, mi sembra ormai palese non lo stiano trovando.”

“E tu non puoi fare nulla?”

“Direi di no, Capo, io sono solo l’apprendista! Ricorda?”

“Mannaggia, Doduck.”

“A meno che…”

“A meno che?”

“A meno che lei non voglia porre fine al mio apprendistato e darmi finalmente pieni poteri: potrebbe propormi un contratto da responsabile di area, non so, o magari da dirigente, così potrei anche provare a…”

“Ok, ok, Doduck. Lasciamo perdere,…”

“Ma?”

“Sarebbe un peccato interrompere così il tuo apprendistato…”

“Più che abbandonarmi alle follie di quelle due?”

“Suvvia, Doduck, quante storie. Sempre tragica, tu.”

“Io?”

“Certo. A me la situazione non sembra poi tanto grave…”

 

Peanuts 2017 aprile 11 - Il Post

 

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Quarantacinquesimo giorno di prigionia.

“Pronto, chi parla?”

“Pronto, buongiorno cara cliente, sono Doduck. Dovevamo sentirci stamattina per ultimare la progettazione della super idea che voglio vendere per triliardi di dollari alla vostra ditta. Ricordi?”

“Ah, ciao, ehm, schrashh, scusa posso richiamarti io fra, schrhhssh, cinque minuti?”

“Ehm, ok, fai pur con calm…”

“Tu tu tu tu….”

“Sì, pronto?”

“Pronto, buongiorno cara cliente, sono sempre Doduck. Non ho più ricevuto la tua chiamata e così ho provato a ricontattarti.”

“Ah, ciao Doduck! Certo, Doduck! Dovevo richiamarti io?

“Beh, sì, così avevi detto, ma non importa, tranquilla.”

“Oh, scusami Doduck, è che sono giornate un po’ indaffarate. Sono ancora in call con i colleghi, credo ne avremo per un po’. Possiamo sentirci fra un paio d’ore?”

“Sì, certo. Nessun probl…”

“Tu tu tu tu….”

“Pronto, buongiorno cara cliente, qui Doduck!”

“Ah, Doduck cara, finalmente. Scusami davvero per prima ma sono giornate intense.”

“Figurati, cara cliente, lo posso immaginare.”

Ma dovevamo sentirci oggi?

“Eh sì, rimandiamo da due settimane…”

“Hai ragione, è che ho un sacco di lavoro, in questo periodo, e in più i tre figli a casa che devono organizzarsi per le lezioni online.”

“Tosta, sì, lo credo.”

“Ma finalmente ce l’abbiamo fatta. Dunque, di che dovevamo parlare?”

“Eccoci, dunque, volevo illustrarti il progetto che ho ideato per la vostra az….”

“Scusami solo un attimo, cara, il piccolo non riesce ad accedere alla classe online di educazione fisica.”

“Classe online di educazione fisica?!”

“Sì, lasciamo stare, va. Scusami solo un attimo, torno subito, davver…tu tu tu tu…”

“Pronto? Sempre Doduck.”

“Doduck! Stavolta sono tutta tua! Giuro!”

“E il bimbo è riuscito a entrare in tempo per l’ora di ginnastica? Eh eh.”

“Sì, guarda, maestre e professori non sanno più che inventarsi su questo online. Ma dovremmo esserci. Di che stavamo parlando?”

“Dunque, ti dicevo che il progetto che ho strutturato per voi…”

“Come sarebbe a dire serve una corda per saltare? Avevano detto di procurarsi un bicchiere e una scopa,…

“Ehm..”

“Devi scusarmi un istante, Doduck. DOVE LA TROVIAMO, ORA, UNA CORDA PER SALTARE? Tu tu tu…”

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