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Sinca

Da qualche giorno ci siamo rifugiati a casa dei miei genitori. Complice il caldo di Lavorandia da cui fuggire, qualche ora di congedo di maternità facoltativa da poter sfruttare e una serie di incombenze che impegneranno Pilush per un po’, venerdì pomeriggio abbiamo caricato Ciotti e un centinaio di bagagli in macchina e siamo partiti alla volta della “casa dei nonni”.

Da quando vivo a Lavorandia tornare a casa è sempre impegnativo. Oltre ai km da percorrere e ai tempi da organizzare, ogni volta che si torna bisogna fare i conti con le abitudini nuove, con i ricordi che affiorano, con le persone che si sono lasciate e con quelle che si ritrovano. Insomma, con i cambiamenti.

Mia madre ultimamente si è appassionata a questo blog: “dovresti scrivere della mia nuova gatta“, mi ha detto la sera che siamo arrivati.”L’ho trovata un mesetto fa e l’ho chiamata Sinca. È latino. Da sine caudam: senza coda”. Io ho provato a spiegarle che non avrebbe molto senso parlare della sua gatta sul mio blog, che sì, insomma, di solito scrivo di altro, stagismo, sfiga, una lunga serie di sfortunati eventi e compagnia bella. “Beh, il fatto che non abbia la coda è una bella sfiga, sarai d’accordo. Non è neanche tanto bella. Eppure sembra una gatta felice. Puoi scriverlo.”, prova a convincermi.

È che la mamma è nuova qui, su questo sito, ci sta che non abbia capito proprio bene bene come funzioni. Il vero fan di queste pagine, fino a qualche tempo fa, era invece papà che – non brillando certo di salute e costretto a passare molto tempo a casa – si intratteneva quotidianamente davanti al PC leggendo le castronerie che di volta in volta quella sua figlia lontana trovava il coraggio di digitare.

Beh, dopo l’ictus di settembre papà non ha più aperto il computer e questo è un bel problema perché, a ben vedere, rischia di perdersi qualche importante puntata della mia vita.

A gennaio, per esempio, è nata Ciotti – lo sapete – e io sono sicura che anche a lui sarebbe piaciuto parecchio leggerne un po’ qui.

Ciotti e papà, a vederli così da vicino, sono proprio simili. E non parlo di genetica (ché su quella, per ora, a quanto pare vince Pilush a tavolino).

Parlo più di questa cosa che capita agli adulti sofferenti, di tornare un po’ bebè.

Della curiosa coincidenza per cui Ciotti, con i suoi quasi 6 mesi di vita, e suo nonno, con la sua disfagia a 10 mesi dall’ictus, prediligano praticamente lo stesso tipo di frutta omogeneizzata.

Parlo del fatto che nonno e nipotina hanno orari e umori molto simili e di come capiti a entrambi di stupirsi per niente, di rallegrarsi con poco, di addormentarsi un po’ a caso durante la giornata o di svegliarsi sconsolati, ogni tanto, di notte.

Di come tutti e due non sappiano camminare. Chi non ancora, chi non più.

Di quanto a tutti e due farebbe comodo avere qualche dente in più, o riuscire a capire come utilizzare davvero questo telecomando che si ostinano a voler prendere in mano ogni volta che se lo trovano davanti, completamente rapiti dalla tv.

Vorrei scrivere anche del simpatico destino che ci porta a doverli lavare entrambi, vestire entrambi, controllare che non si siano bagnati. Che ci costringe a non perderli d’occhio neanche per un minuto.

Di quanto sia bizzarro che – nonostante i quasi settant’anni di differenza – sembrino conoscere il mondo esattamente nella stessa maniera.

Vorrei scrivere di come la lallazione di Ciotti e l’afasia del nonno li porti a parlare praticamente la stessa lingua, durante i lunghi discorsi di questi giorni fatti solo di vocali, sorrisi e sguardi affettuosi.

Vorrei scrivere di quanto passare questo tempo con loro sia a tratti divertente come lo è inventarsi continuamente storielle e canzoncine per intrattenere, a tratti stancante come lo è gestire altre due vite oltre alla propria, a tratti entusiasmante come lo è vedere i progressi che rapidamente fa una, a tratti avvilente come lo è pensare di quanto meno rapidamente sia portato a farli l’altro.

Vorrei scrivere anche degli occhi buoni di entrambi, dolci nello stesso identico modo, che è quello di chi guardandoti si affida totalmente, semplicemente perché altro, al momento, non può fare.

E tranquilla mamma, poi scriverò anche di Sinca. Che è senza coda, bruttina, ma tutto sommato sembra una gatta felice.

 

Autore:

Stagista a tempo pieno. Giura che non se lo meritava.

30 pensieri riguardo “Sinca

  1. Che coraggio far leggere il tuo blog ai tuoi genitori! Ma non perché possano trovarci chissà che… Beh, questo sarebbe improponibile per i miei. Non capirebbero assolutamente la natura di quello che scrivo. Per questo sono in anonimato…
    Bellissimo il parallelismo tra gli infanti e i malati.
    Poi alla fine hai parlato un po’ della gatta… 😉

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