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Quinto giorno di prigionia.

La giovane donna guardò fuori dalla finestra del soggiorno. Un cielo plumbeo faceva da sfondo a una città deserta. Nessun rumore a scuotere l’aria. Nessun segnale di vita. La quarantena del paese era arrivata al suo primo fine settimana e la surreale condizione umana del momento appariva ora ancora più drammatica in quella calma apparente che copriva inesorabile momenti un tempo dediti alla socialità, allo svago, alla gioia.

Poi – alle 12 in punto – la gente iniziò ad affacciarsi ai balconi. Chi con stoviglie e pentolame. Chi con tamburelli e nacchere. Chi con il solo uso della voce. Tutti iniziarono a rompere quel silenzio assordante con un assordante e scombinato chiasso.

Frastuono gratuito, incessante baccano, a voler dire: ci siamo! Andrà tutto bene.

Poi – alle 15 in punto – la gente si affacciò nuovamente. Stavolta stringeva lenzuola arcobaleno e applaudiva. Applaudiva forte.

Applausi scroscianti come riconoscimento verso chi così duramente stava tentando di tenere testa al nemico e portare in salvo il paese.

Poi – alle 17 in punto – la gente fece capolino ancora una volta. Questa volta con la mano sul cuore. Uniti da lontano, tutti insieme per l’inno di Mameli.

Poi, alle 18, si presentarono sui propri terrazzi con casse, microfoni e amplificatori. Fu la volta di Jovanotti e Viva la libertà.

Alle 18.30 intonarono Meraviglioso.

Nella versione di Modugno.

E poi in quella di Sangiorgi.

Alle 18.45 fu la volta di Azzurro.

Il pomeriggio è troppo azzurro.

Alle 19 tutti affacciati, di nuovo.

In mano birra e patatine per un aperitivo condiviso a distanza e via in coro con Viva l’Italia…l’Italia che res…..

Eeeeaaooohhh!!!

Eddai su!!

E mmo basta!

E va bene tutto. E va bene l’ottimisimo. E va bene l’Italia.

E va bene la pizza, il mandolino e trallallà….

…ma è la quinta volta che cerco di riaddormentare la bimba!!

Mannaggia a voi.

Mannaggia!

 

 

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